Politkovskaya, vera russa

                                   di Pietro Giorgio Carena

La giornalista Julia Joffe è per metà russa. E quindi può permettersi di dire una cosa completamente politicamente scorretta sui russi: e cioè che sarebbe più facile capire i russi se essi fossero semplicemente viola, perché era effettivamente confondente per gli occidentali, per gli europei e per gli americani, avere a che fare con russi che sembrano europei, che sembrano bianchi, e ti aspetti che si comportino come occidentali, come europei occidentali bianchi, quando in realtà sono molto diversi e 'cablati' in modo molto differente e hanno aspettative culturali e connessioni mentali molto diverse, e che... questo creava parecchi malintesi.La Joffe si riferiva al fatto che a suo dire è difficile far capire ai russi era che gli occidentali a volte sono davvero così idealisti, e credono davvero in ciò che dicono sulla democrazia, sulla libertà, sui diritti umani; che non si tratta solo di bugie ciniche; che non è solo una foglia di fico cinica nel tentativo di impossessarsi dei pozzi petroliferi in Medio Oriente.

I Russi, dice la russa Joffe e anche i russi più liberali, spesso equiparano l'idealismo alla stupidità, e questo si adattava al loro stereotipo degli americani come stupidi.
Anna Politkovskaya era, ovviamente, completamente russa. Profondamente e meravigliosamente russa. Ma certo non rientrava nello stereotipo della russa silenziosa, accondiscendente verso il potere costituito; cinica nei confronti dell'idealismo.
Era una giornalista, della Novaya Gazeta. Coerentemente con le proprie convinzioni, non si piegava all'autocensura che già permeava l'informazione nel suo paese. La sua autorevolezza se la conquistava sul campo, e nei territori insanguinati della Cecenia.
Donna di verità, per questo si immergeva nel dolore, anzi nei dolori. I più crudi, i più ignorati, i più scomodi.
Il proprio martirio se lo conquistò in Cecenia.
Aveva già in precedenza denunciato i crimini di guerra dell'esercito russo, le sparizioni, le torture. Quel giorno, colpita nell'ascensore del suo palazzo a Mosca, diventava l'ennesima vittima sacrificale del giornalismo in Russia.
Quattro proiettili, uno alla testa.
Spendiamo qualche secondo per ricordarci chi era.



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