Kant sulla Metropolitana









di Alessandro Zopegni

Sono sulla metropolitana che prendo al volo.

L'ingresso viene occupato da un poliziotto scocciato e dalla sua collega al telefonino.

Entra all'ultimo momento ma con le porte ancora aperte un asiatico con le sue borse: il ragazzo è giovane, probabilmente appena uscito dal lavoro, con gli occhi stanchi e il viso vissuto.

Commette l'errore di sfiorare con uno sbuffetto il poliziotto annoiato che sta occupando la porta scorrevole: essendo anche molto grasso, l'uomo in divisa la sta occupando eccessivamente.

Sentendosi violato dal giovane straniero, lo mortifica davanti a tutti, costringendo il ragazzo a nascondersi lontano ad aspettare ad occhi bassi la sua fermata. Non sa cosa dire e non sa cosa fare il ragazzo; io saprei cosa dire e cosa fare ma sto zitto perché non voglio problemi.

Nel frattempo, la collega del poliziotto continua a non staccare gli occhi dal telefonino.

Qualche metro più in là si sentono voci arrabbiate, probabilmente una lite da calmare.

I poliziotti vengono fermati alla fermata successiva da un signore che li informa dell'accaduto. 

Fanno finta di ascoltarlo e di interessarsene e mentre chiudono le porte il poliziotto annoiato tranquillizza la collega, lasciandola continuare a giocare con il telefonino.

Il ragazzo asiatico rimane sempre a distanza di sicurezza perso nei suoi occhi fissi sul pavimento.

Alla fine, scendiamo tutti alla fermata successiva: i due poliziotti troppo indaffarati dalla loro ombra, il ragazzo mortificato, io che mi sono fatto gli affari miei e i due rissosi.

Ognuno per la propria strada.

Ognuno a passeggio con la propria morale.

Il cielo fuori è stellato.

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