PILOTA AUTOMATICO, TIE’







di Pietro Giorgio Carena

La storia dei due piloti della nostra compagnia di bandierina, addormentati contemporaneamente per fiducia nella tutela del pilota automatico, mi ha confermato in un pregiudizio che mi si sta consolidando: stiamo perdendo il controllo di noi stessi.
Intendiamoci, non è una novità di questi anni. Personalmente, non so fare, purtroppo, quasi niente. Non solo non ho alcun gusto per il bricolage. Non solo mi tengo alla larga dai circuiti elettrici e dagli impianti idraulici. Ma soffro a cambiare le ruote delle macchine, ad aggiustare persiane, a tirar giù le tende.
Perfino ad attaccare i quadri: devo avere una parete ampia e larga possibilità di ripensamento, perché mi capita di bombardare interi decimetri quadri di intonaco, a martellate, prima di riuscire a piazzare il caro ricordo di famiglia in modo che copra i bozzi dei tentativi malriusciti.
Ma io sono patologico. Come ragioniere, diceva Buzzati, ragiono benissimo, e me lo faccio bastare. Al massimo chiamo ziopaolo e poi ci apriamo un bottiglia a lavoro (da lui) finito.
Ma mi pare capiti anche a tutti. Chi dei mangiatori di carne saprebbe oggi macellare una mucca?
Io certamente no: secondo me torturerei orrendamente a coltellate il povero animale per poi essere io finito da una meritatissima incornata.
Ma credo che anche ziopaolo avrebbe difficoltà. Quindi, tutti, per me.

E così tante cose. Conosco persone che non sono neanche capaci di prepararsi un risotto (modestamente, a me i miei piacciono molto). O fabbricarsi un’auto. Anche solo ripararla.
Bene, c’è una barriera che cerco di non varcare: non voglio abituare me stesso alle pigrizie dei tomtom comunque denominati. Se devo andare in un posto, me lo cerco su una cartina, me la memorizzo nella mente e poi di solito ci arrivo; dopo di che me ne vanto per delle intere mezzore, declamando il mio prodigioso senso di orientamente.
Mia moglie no. Lei di gugol si fida. Sgnacca un bottone, dice un indirizzo, e il cellulare comincia coscienzioso a dire che devi tenerti a destra perché fra cinquanta metri devi andare in via gìmatteotti.
Lei dice che funziona sempre. Io sostengo, memorie alla mano, che tutte le volte che lei mi ha fatto da copilota con quel coso abbiamo finito a dire parolacce che il medesimo non ha saputo decodificare.
Lei dice che è colpa mia. Sono troppo nervoso, farei perdere la calma a un santo, e quindi mando in confusione il cervellino di cilicio del cellulare.
Oggi, l’ho sfidata. Via Negarville. Dovevo tornare a San Mauro. Avevo due o tre itinerari a mente ma ho preferito chiedere al giovanotto registrato.

Volevo raggiungere la Tangenziale a Orbassano. L’avrei perdonato se mi avesse portato a Sito. Lui, invece, con l’aria di chi sa cosa fare, mi fa andare a nord.
Poi a un certo punto si allarma e mi dice che devo spostarmi tutto a sinistra e girare in via del portone.
Siccome il pandino era un po’ arzillo e rischiavo di andare oltre, me lo ripete con concitazione. Tutto a sinistra, tutto a sinistra! Per farlo devo tagliare la strada a due siluri che mi superano infischiandosene delle mie segnalazione, ma poi riesco a mettere le ruote del pandino (ancora intero) su via del Portone.
Ora, io non so quanto sia lunga, quella via. Ma molti minuti dopo ero ancora lì che la percorrevo. E della tangenziale neanche un indizio. Per una volta, non mi sono arrabbiato. Ho fatto cuocere tom nel suo ridicolo. A un certo punto, in pieno rettifilo, careggiata a senso unico, mi ordina di invertire a U. Bravo! Gli dico ironicamente. E ovviamente neanche rallento. Si rende conto che avevo ragione, e per cento metri mi fa andare in una direzione razionale. Il tempo di trovare un cartello verde “Tangenziale” a sinistra, e lui mi dice di andare a destra. Lo mando allegramente a quel paese, e smetto di obbedirgli. La tangenziale è lì a due passi.
Tiè. Ho vinto io, Tomtolone che non sei altro.

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