di Pietro Giorgio Carena
La memoria della morte di quel personaggio stupendo che fu Antonio Russo, giornalista di eccezionale coraggio e rigore, torturato a morte - con ogni probabilità - dal regime di Mosca, per le sue cronache dal Caucaso, si uniscono alla ferita ancora aperta della storia tremenda di Giulio Regeni, il giovanissimo accademico che studiava dinamiche sociali al Cairo, e che fu seviziato lentamente per una settimana (sembra) prima di trovare sollievo nel decesso.A prima vista, la crudeltà del loro patire sembra stupida, sovrabbondante, frutto solo della libido violenta di uomini sfuggiti al controllo del potere che li muove.
Forse non è così.
Non solo si tortura, ma si fa trapelare, nelle cronache, qualcosa dell’orrendo procedimento seguito.
Regeni poteva sparire nel nulla, in una città come il Cairo. Il fatto che sia stato trovato, vuol dire che, chi l’ha ucciso, voleva che fosse ritrovato. Che la sua fisionomia disfatta dalle botte (“era riconoscibile solo il naso” dichiara la mamma con occhi asciutti di pianto), tramite l’orrore dei familiari arrivasse a turbare anche noi.
Si vuole che lo si sappia, che una persona coraggiosa ha sofferto ed ha sofferto tanto, prima di morire.
Perchè la tortura non è solo dolore. E’ anche annichilimento di ogni brandello possibile di dignità. Vieni denudato, umiliato, tagliato, penetrato, picchiato, soffocato, ustionato....per giorni (Dio mio! Per giorni!).
E questo viene fatto parzialmente sapere. Perchè i futuri potenziali Antonio Russo o Giulio Regeni sappiano che possono essere spogliati di tutta la loro cultura, il loro sapere, il loro coraggio, la loro dirittura morale, e trascinati al livello bassissimo del dolore insopportabile, dello scherno scientificamente inflitto, della umiliazione dirompente.
Una minaccia in sè più intimidatoria della morte, quand’anche non dovesse seguire.
Non è solo odio, che muove i carnefici. Non è un impulso del momento.
E’ una strategia lucida, addirittura intelligente, nella sua radicale malvagità.
E caratterizza i regimi peggiori, quelli che temono proprio gli avversari che in realtà stimano, e che con le proprie foto, i propri articoli, i propri studi sociologici possono, oggi e in futuro, denudare la crudeltà delle strutture politiche e sociali, che vengono difesi con ogni mezzo.
E - fra questi mezzi - la crudeltà è forse il più efficace.
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