di Pietro Giorgio Carena
La città metropolitana è nata malissimo e oggi funziona ancora peggio. Una procedura abborracciata, costruita a vista sotto lo stress di scadenze perentorie incompatibili con una riflessione anche minima sui contenuti, ha prodotto esattamente i risultati che la lucida analisi di undici anni fa aveva previsto.
Quella percezione del 2014, che aveva "la concretezza di una constatazione", si è tragicamente avverata. La Città Metropolitana è nata male perché è stata pensata male, soprattutto per le peculiarità di Torino - 312 comuni su 6.827 kmq, l'80% con meno di 5.000 abitanti - uniche in Italia e in Europa. E oggi funziona male per gli stessi motivi per cui nacque male, senza che si siano realizzate quelle condizioni migliorative che già allora apparivano francamente inimmaginabili.
I problemi procedurali che dominavano il dibattito preparatorio hanno lasciato il posto a una governance strutturalmente inefficace. I contenuti politici continuano a latitare, sostituiti da proclami e piani strategici che mascherano il vuoto di visione e risultati.
Le paure delle zone periferiche di essere schiacciate dall'egemonia del capoluogo si sono rivelate fondate. La frammentazione territoriale - dalle zone compatte del Nord Est alle aree disperse dell'Eporediese, dalle zone decentrate come Carmagnola, Val Susa e Valli di Lanzo - è rimasta immutata, cristallizzandosi in una paralisi amministrativa permanente.
Prevale ancora oggi la competizione fra le diverse zone dell'ex Provincia, sacrificando qualsiasi strategia complessiva per il nostro territorio. L'incapacità di pensare in termini metropolitani ed europei ha relegato Torino in una posizione di crescente marginalità, confermata dal crollo di 22 posizioni nella classifica sulla qualità della vita del Sole 24 Ore.
Gli amministratori locali delle situazioni geograficamente più laterali hanno espresso il loro disagio in varie forme. L'astensionismo amministrativo, che già si profilava nel 2014, è diventato pratica comune. Il senso di "diserzione" temuto allora si è trasformato in disimpegno strutturale.
Domina ancora l'amministrazione locale di ogni comune, ma in un contesto di inefficacia generalizzata. I ripetuti cambi di amministrazione a Torino non hanno portato le revisioni sperate. Ogni nuovo ciclo politico ha confermato l'inerzia del sistema, incapace di riformarsi dall'interno.
Il bilancio dopo undici anni è impietoso: la città metropolitana rimane un'istituzione debole, frammentata, inefficace. La mancanza di visione strategica iniziale si è tradotta in un deficit permanente di governance. I dati recenti - dal crollo nella qualità della vita alle scarse performance ambientali - certificano il fallimento di un modello nato male e rimasto tale.
Era difficile parlarne bene allora, impossibile farlo oggi. Il fallimento annunciato si è pienamente realizzato, confermando che le condizioni per un buon funzionamento, che già nel 2014 nessuno riusciva a immaginare, continuano a non esistere.
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